Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti[1]:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti.
Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese.
Quando coi miei bardotti finirono i clamori,
i Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo
Nei furiosi sciabordii delle maree
l'altro inverno, più sordo d'un cervello di fanciullo,
ho corso! E le Penisole salpate
non subirono mai caos cosi trionfanti.
La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero d'un sughero ho danzato tra i flutti
che si dicono eterni involucri delle vittime,
per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari!
Più dolce che ai fanciulli la polpa delle mele mature,
l'acqua verde penetrò il mio scafo d'abete
e dalle macchie di vini azzurrastri e di vomito
mi lavò, disperdendo ancora e timone.
E da allora mi sono immerso nel Poema
del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
divorando i verdiazzurri dove, flottaglia[2]
pallida e rapida, un pensoso annegato talvolta discende;
dove, tingendo di colpo l'azzurrità, deliri
e lenti ritmi sotto il giorno rutilante[3],
più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano gli amari rossori dell'amore!
Conosco i cieli che esplodono in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: conosco la sera
e l'Alba esaltata come uno stormo di colombe
e talvolta ho visto cio che l'uomo crede di vedere!
Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori,
illuminare lunghi filamenti di viola,
che parevano attori in antichi drammi,
i flutti scroscianti in lontananza i loro tremiti di persiane!
Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
bacio che sale lento agli occhi dei mari,
la circolazione di linfe inaudite,
e il giallo risveglio e blu dei fosfori cantori!
[...] Ho visto fermentare enormi stagni, reti
dove marcisce tra i giunchi un Leviatano![4]
Crolli d'acque in mezzo alle bonacce
e in lontananza, cateratte verso il baratro!
Ghiacciai, soli d'argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
E orrende secche al fondo di golfi bruni
dove serpi giganti divorati da cimici
cadono, da alberi tortuosi, con neri profumi! [...]
Quasi fossi un'isola, sballottando sui miei bordi litigi
e sterco d'uccelli, urlatori dagli occhi biondi.
E vogavo, attraverso i miei fragili legami
gli annegati scendevano controcorrente a dormire!
Io, perduto battello sotto i capelli delle anse,
scagliato dall'uragano nell'etere senza uccelli,
io, di cui né Monitori[5] né velieri Anseatici[6]
avrebbero potuto mai ripescare l'ebbra carcassa d'acqua;
libero, fumante, cinto di brume violette,
io che foravo il cielo rosseggiante come un muro
che porta, squisita confettura per buoni poeti,
i licheni del sole e i moccoli d'azzurro;
io che correvo, macchiato da lunule elettriche,
legno folle, scortato da neri ippocampi,
quando luglio faceva crollare a frustate
i cieli oltremarini dai vortici infuocati;
io che tremavo udendo gemere a cinquanta leghe
la foia[7] dei Behemots[8] e i densi Maelstroms,
filando eterno tra le blu immobilità,
io rimpiango l'Europa dai balconi antichi!
Ho veduto siderali arcipelaghi! ed isole
i cui deliranti cieli sono aperti al vogatore:
E in queste notti senza fondo che tu dormi e ti esìli,
milione d'uccelli d'oro, o futuro Vigore?
Ma è vero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro:
l'acre amore m'ha gonfiato di stordenti torpori.
Oh, che esploda la mia chiglia! Che io vada a infrangermi nel mare!
Se desidero un'acqua d'Europa, e la pozzanghera
nera e fredda dove verso il crepuscolo odoroso
un fanciullo inginocchiato e pieno di tristezza, lascia
un fragile battello come una farfalla di maggio.
Non ne posso più, bagnato dai vostri languori, o onde,
di filare nella scia dei portatori di cotone,
né di fendere l'orgoglio di bandiere e fuochi,
e di nuotare sotto gli orrendi occhi dei pontoni[9].
Trad. it. di D. Bellezza, in A. Rimbaud, Poesie, a cura di M. Guglielminetti, Garzanti, Milano 1989
Rivediamo:
Scendendo senza freni e senza guide lungo i fiumi della parola, leggero come un'anima appena nata all'incanto delle immagini, sballottato dalle tempeste delle sensazioni, il poeta si è immerso nella profondità della coscienza, che è l'acqua da cui sorgono i poemi. Lì ha visto "ciò che l'uomo crede di vedere": immagini il cui significato sfugge all'ordine del linguaggio comune e che fuoriescono dall'inconscio con una forza che non è quella della volontà ma dipende dalla strade che il poeta ha spalancato loro attraverso "lo sregolamento di tutti i sensi".
Come un battello perduto nell'uragano degli istinti più incontrollabili, dopo aver assaporato la libera espressione di ogni emozione, il poeta è colto dalla stanchezza, dalla prostrazione che segue all'esperienza visionaria. Ma se l'immersione nella libertà assoluta del linguaggio dell'anima non ha raggiunto il suo scopo, non è neanche più possibile tornare alla normalità.
La disperata e allucinata esperienza di evasione si conclude nella malinconia: è l'evocazione dell'infanzia perduta ("l'acqua d'Europa") e del bambino che gioca a lanciare la sua barchetta di carta su una grigia pozzanghera.
[1] Bardotto: animale da soma e da basto utilizzato per trascinare le barche lungo i fiumi per mezzo di cavi.
[2] Flottaglia: dall'aggettivo "flottante", che galleggia ondeggiando.
[3] Rutilante: rosso fiammante, splendente come una gemma. Si usa come part. pres.: «glauca notte rutilante d’oro» (D’Annunzio)
[4] Leviatano: nella Bibbia, enorme mostro di mare che si nutre di uomini, emblema della potenza dei Faraoni, assunto dal filosofo inglese T. Hobbes (1588-1679) a simbolo dell’onnipotenza dello stato nei confronti del singolo.
[5] Monitore: bastimento bellico piuttosto lento armato con due cannoni e attrezzato per incursioni sulla costa
[6] Anseatico: dell’Hansa, lega (XIII - XVII sec.) tra le città marinare del Mare del Nord e del Baltico, a tutela del commercio e dell’indipendenza politica.
[7] Foia: eccitazione sessuale propria degli animali, dal latino "furiam": furia.
[8] Behemot: nome di una creatura diabolica.
[9] Pontone: galleggiante di grosse dimensioni con prua e prora rettangolari e fondo piatto, usato come traghetto e come sostegno di ponti provvisori.
Guida alla lettura
La "teoria del veggente" esposta nella lettera a P. Demeny trova in questo componimento la sua piena attuazione. Il poeta "ha visto", al di là di ciò che appare sulla superficie della realtà, l'inaudito e l'invisibile. Ciò che in questa poesia colpisce immediatamente è l'atmosfera onirica, caratterizzata in modo "forte" da due elementi fondamentali: l'uso del registro linguistico narrativo ("discendevo", "ero"); la successione non logico-sequenziale delle immagini, semplicemente esposte senza un'apparente soluzione di continuità. Questo è il modo in cui raccontiamo i sogni.Tale proprietà del testo simbolista accomunò all'epoca tutti i linguaggi artistici e va interpretata alla luce della nuova concezione della coscienza che tra 800 e 900 si impose sulla scena culturale europea.
Senza voler scendere nei particolari del discorso - un lavoro interpretativo di straordinaria difficoltà, sproporzionato ai nostri scopi - possiamo tuttavia annotare alcuni elementi di particolare importanza:
1)la cornice temporale è denotata dall'espressione «l'altro inverno» che, associata all'oscurità del contesto simbolico, assume una precisione che spiazza il lettore. La dimensione a-temporale della poesia lirica classica e romantica viene qui corretta verso una contestualizzazione cronologica che non dice nulla a chi legge. Una precisione dunque apparentemente inutile.
2)La forma del discorso è quella "narrativa" dei sogni e la qualità degli eventi appare caoticamente ridondante. Il poeta immagina se stesso come un battello abbandonato alla corrente, e in questa forma egli discende «i Fiumi» (al plurale) verso «il Poema del Mare». Questa dimensione immaginativa è totalmente astratta, e apparentemente predispone a un discorso di tipo simbolico piuttosto tradizionale: l'acqua come simbolo di rigenerazione, il Fiume come entità sacrale predisposta al nutrimento e all'infinita rigenerazione e il mare come espressione dell'insondabilità del senso (il Poema).
3)Le immagini simboliche secondarie, al contrario, rispondono allo scopo di destabilizzare definitivamente il lettore dalla serena contemplazione di un ambiente che pareva essergli familiare. La loro scelta, come si diceva a p. x, è totalmente gratuita e ingiustificata: decontestualizzata rispetto alla "cornice" iniziale. E tuttavia, esse appaiono estremamente "precise" e "vivide", nella loro concretezza materiale ("Pellerossa urlanti", "l'acqua verde", "le macchie di vini azzurrastri e di vomito", gli "enormi stagni, reti dove marcisce tra i giunchi un Leviatano", ec.). Questa contraddizione tra astrazione logica e precisione semantica è l'elemento forte della poesia simbolista: la spersonalizzazione della sensibilità. Con ciò si vuole indicare una ricerca tesa alla cura quasi fotografica del particolare, una volontà di concretezza che crea un enorme contrasto con l'irrazionale inafferrabilità dei contenuti. La sensibilità immaginativa è quindi privata di "realtà esperienziale", spersonalizzata: chi legge non riconosce più nulla - amore, dolore, passione - pur di fronte all'estrema evidenza delle figure (la quantità di aggettivi e di colori utilizzati è una novità assoluta nell'ambito del linguaggio poetico), la stessa evidenza "improduttiva" della denotazione temporale.
Concludendo. Questa poesia è fatta per creare uno choc in chi legge; non deve quindi preoccupare la sensazione, assolutamente giustificata, di "non capirci nulla". Ad una ulteriore riflessione, tuttavia, non deve sfuggire un fatto essenziale: la "cornice" è precisamente caratterizzata nei suoi elementi essenziali del viaggio emotivo e intellettuale lungo i fiumi della parola verso il mare della poesia, nei modi irrazionali e provocatori di un battello sciolto da ogni legame con la realtà. Questo viaggio è l'allegoria del "viaggio nell'inconscio" che caratterizza gli intendimenti e i programmi filosofico-letterari di tutto il periodo simbolista. All'interno di tale ambito semantico, tutto il resto è un gioco poetico in cui ciò che conta è poi la forza dell'immagine e delle parole, prima e al di là di ogni contenuto filosofico o psicologico rigidamente inteso.
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